Il sogno di Mallarme’ era costruire un grande Libro, in cui le opere migliori avrebbero preso posto, per esempio Azzurro e Il pomeriggio di un fauno, qui pubblicate. Ma non era che un sogno irrealizzato e probabilmente irrealizzabile. Abbiamo scelto nella sua produzione i testi più interessanti, meritevoli di vedere la luce in volume, insieme. Ma prima ancora Mallarme’ aveva coltivato fin da bambino il sogno di scrivere e infatti dichiara di averlo realizzato. Mallarme’ non è ostico come si dice, piuttosto è complesso. Una particolarità è stata quella di tentare di scrivere poesia senza punteggiatura. Qui c’è qualche esempio.
Il titolo è disponibile in formato ebook da www.torrossa.com
http://digital.casalini.it/9788885460577
Il sogno di Mallarme’ era costruire un grande Libro, in cui le opere migliori avrebbero preso posto, per esempio Azzurro e Il pomeriggio di un fauno, qui pubblicate. Ma non era che un sogno irrealizzato e probabilmente irrealizzabile. Abbiamo scelto nella sua produzione i testi più interessanti, meritevoli di vedere la luce in volume, insieme. Ma prima ancora Mallarme’ aveva coltivato fin da bambino il sogno di scrivere e infatti dichiara di averlo realizzato. Mallarme’ non è ostico come si dice, piuttosto è complesso. Una particolarità è stata quella di tentare di scrivere poesia senza punteggiatura. Qui c’è qualche esempio.
l titolo è disponibile anche in formato ebook da www.torrossa.com
http://digital.casalini.it/9788885460577
Non è giusto dire che Paul Valéry non aveva ispirazione: lui stesso dichiarò che il primo verso viene dagli dei il resto è lavoro, come sanno tutti i poeti di questo mondo. Valéry aveva adottato, per la metrica e la rima e il ritmo, i consigli di Boileau: XVII secolo. Il primato del ritmo ritorna regolarmente in sonetti, odi e poemi. Persino il suo capolavoro, il ”Cimitero marino” nasce da una riflessione sul decasillabo. Valéry monta e smonta tutte le possibili versioni del decasillabo. Invece la “Pizia” nasce da un verso in cui per Valéry è contenuto in nuce tutto il poema. Il classico tra i moderni ritiene la poesia “una festa dell’Intelletto”. Dice Valéry: “Le belle opere sono figlie della loro forma – che nasce prima di esse.”
Il titolo è disponibile anche in formato ebook da www.torrossa.com
http://digital.casalini.it/9788885460539
Non è giusto dire che Paul Valéry non aveva ispirazione: lui stesso dichiarò che il primo verso viene dagli dei il resto è lavoro, come sanno tutti i poeti di questo mondo. Valéry aveva adottato, per la metrica e la rima e il ritmo, i consigli di Boileau: XVII secolo. Il primato del ritmo ritorna regolarmente in sonetti, odi e poemi. Persino il suo capolavoro, il ”Cimitero marino” nasce da una riflessione sul decasillabo. Valéry monta e smonta tutte le possibili versioni del decasillabo. Invece la “Pizia” nasce da un verso in cui per Valéry è contenuto in nuce tutto il poema. Il classico tra i moderni ritiene la poesia “una festa dell’Intelletto”. Dice Valéry: “Le belle opere sono figlie della loro forma – che nasce prima di esse.”
Il titolo è disponibile anche in formato ebook da www.torrossa.com
http://digital.casalini.it/9788885460539
L’anelito a possedere ”la verità in un’anima e un corpo” segna tutta la parabola di Arthur Rimbaud fino al capolavoro delle Illuminazioni e alla rinuncia alla scrittura poetica. Fanciullo prodigio, fece incontri determinanti, da Izambard a Verlaine. Quel che lo caratterizza è la simbiosi tra arte e vita in poesia, com’era logico per un poeta a tutto tondo come lui. Ce lo immaginiamo nei suoi vagabondaggi, con e senza Verlaine, sdraiato sull’erba, la testa rovesciata a contemplare i dettagli della natura e della civiltà. Nel suo tentativo di riconquista dell’Eden, ripercorre itinerari mistici di ogni tempo. Per Rimbaud la poesia è stata una figura del destino, di un “carattere-destino”. Ribelle fino all’anticonformismo in epoche non sospette e poi cercatore di “pepite d’oro” grazie al suo talento e al suo genio, risulta infine ancora oggi come “l’inarrivabile Rimbaud”.
L’anelito a possedere ”la verità in un’anima e un corpo” segna tutta la parabola di Arthur Rimbaud fino al capolavoro delle Illuminazioni e alla rinuncia alla scrittura poetica. Fanciullo prodigio, fece incontri determinanti, da Izambard a Verlaine. Quel che lo caratterizza è la simbiosi tra arte e vita in poesia, com’era logico per un poeta a tutto tondo come lui. Ce lo immaginiamo nei suoi vagabondaggi, con e senza Verlaine, sdraiato sull’erba, la testa rovesciata a contemplare i dettagli della natura e della civiltà. Nel suo tentativo di riconquista dell’Eden, ripercorre itinerari mistici di ogni tempo. Per Rimbaud la poesia è stata una figura del destino, di un “carattere-destino”. Ribelle fino all’anticonformismo in epoche non sospette e poi cercatore di “pepite d’oro” grazie al suo talento e al suo genio, risulta infine ancora oggi come “l’inarrivabile Rimbaud”.
Vergers, “Verzieri” (frutteti, giardini) è l’estremo atto d’amore di Rilke, l’ultima opera in vita (1926), in cui si condensa tutta la sapienza poetica dell’autore, in una lingua “in prestito”, il francese. In essa parlano Angeli sottratti al morire, amori, Eros, semidei, fanciulle, paesaggi, finestre, fontane, primavere e derelizione: gli oggetti sono figure dell’anima, in un cosmo popoloso, con poesie scelte tra circa 400. Non si pensi a una raccolta luttuosa, tutt’altro: Rilke disse di sentirsi di nuovo giovane, prescelto da un dettato “semplicemente irresistibile”: un “dono”, “una sorpresa”. E il risultato conferma che si tratta di un’opera ispirata: gli amici Valéry e Gide, che aveva tradotto, gli scrissero, con gusto sicuro, subito entusiasti, notando una nuova vena e un suono ancora più <delicato> di altre opere pur eccelse.
Vergers, “Verzieri” (frutteti, giardini) è l’estremo atto d’amore di Rilke, l’ultima opera in vita (1926), in cui si condensa tutta la sapienza poetica dell’autore, in una lingua “in prestito”, il francese. In essa parlano Angeli sottratti al morire, amori, Eros, semidei, fanciulle, paesaggi, finestre, fontane, primavere e derelizione: gli oggetti sono figure dell’anima, in un cosmo popoloso, con poesie scelte tra circa 400. Non si pensi a una raccolta luttuosa, tutt’altro: Rilke disse di sentirsi di nuovo giovane, prescelto da un dettato “semplicemente irresistibile”: un “dono”, “una sorpresa”. E il risultato conferma che si tratta di un’opera ispirata: gli amici Valéry e Gide, che aveva tradotto, gli scrissero, con gusto sicuro, subito entusiasti, notando una nuova vena e un suono ancora più <delicato> di altre opere pur eccelse.
Il Profeta esce nel 1923 e procura subito vasta fama all’autore, facendolo conoscere in tutto il mondo attraverso numerose traduzioni. È il libro che più felicemente compendia le diverse anime di Gibran, fuse alla luce di quel cristianesimo di matrice maronita che sintetizza le diverse istanze culturali, orientali e occidentali, dell’autore e che fa convivere, in una sorta di eresia liberatoria, ortodossia ed eterodossia, monoteismo e panteismo. Un canto profetico nel quale, accanto alle verità della tradizione evangelica, trovano spazio credenze d’altra provenienza religiosa (islamismo, buddismo, induismo).
Il Profeta esce nel 1923 e procura subito vasta fama all’autore, facendolo conoscere in tutto il mondo attraverso numerose traduzioni. È il libro che più felicemente compendia le diverse anime di Gibran, fuse alla luce di quel cristianesimo di matrice maronita che sintetizza le diverse istanze culturali, orientali e occidentali, dell’autore e che fa convivere, in una sorta di eresia liberatoria, ortodossia ed eterodossia, monoteismo e panteismo. Un canto profetico nel quale, accanto alle verità della tradizione evangelica, trovano spazio credenze d’altra provenienza religiosa (islamismo, buddismo, induismo).
La capacità immaginativa è il motore di questa poesia: un’energia intellettuale, continuamente in movimento, in un vorticoso bestiario di esempi quotidiani e personali (di clinica in clinica in un paesaggio di flebo e di lenzuola, tra ossessioni e fobie), di memorie e di ricordi (in una terrestre sensualità, le presenze vive delle donne ne sono al massimo grado l’esempio potente).
La capacità immaginativa è il motore di questa poesia: un’energia intellettuale, continuamente in movimento, in un vorticoso bestiario di esempi quotidiani e personali (di clinica in clinica in un paesaggio di flebo e di lenzuola, tra ossessioni e fobie), di memorie e di ricordi (in una terrestre sensualità, le presenze vive delle donne ne sono al massimo grado l’esempio potente).
Le Poesie di Živago ripercorrono l’intera vicenda di Jurij, protagonista del romanzo Il dottor Živago, facendo da riassunto per “tappe” del suo percorso esistenziale. Jurij Živago è la trasposizione romanzata, l’alter ego di Pasternak. Si fa interprete di quella stessa fragilità dell’individuo e di quella solitudine dell’intellettuale che Pasternak sperimenta nella sua esistenza dentro la violenta morsa della storia del suo paese “stravolto e squartato” dalla guerra e dalla rivoluzione. Si fa portavoce di quella stessa alternativa spiritualistica impregnata di sensibilità cristiana di cui Pasternak è stato testimone coraggioso nella sua vita. Dietro alla sua creatività e all’esercizio del pensiero, Jurij nel romanzo scrive e pubblica poesie proprio come fa lo stesso Pasternak nella vita reale. E Jurij nel romanzo vive lo stesso dissidio del suo autore tra l’artista e la società, tra la poesia e la politica, tra l’arte e la storia, tra l’amore e il matrimonio. Le Poesie di Živago si segnalano per le atmosfere intime e personalissime, prive di qualsiasi accento declamatorio, con cui Pasternak tratta il tema della patria sofferente, e per lo “scintillante mosaico di immagini” attraverso cui parla d’amore, di illusioni e delusioni, di insoddisfazione personale, di ansia religiosa, di ricerca spirituale. Anna Achmatova diceva di Pasternak: “un poeta magico, un poeta divino, uno dei grandi poeti della terra russa”.
Le Poesie di Živago ripercorrono l’intera vicenda di Jurij, protagonista del romanzo Il dottor Živago, facendo da riassunto per “tappe” del suo percorso esistenziale. Jurij Živago è la trasposizione romanzata, l’alter ego di Pasternak. Si fa interprete di quella stessa fragilità dell’individuo e di quella solitudine dell’intellettuale che Pasternak sperimenta nella sua esistenza dentro la violenta morsa della storia del suo paese “stravolto e squartato” dalla guerra e dalla rivoluzione. Si fa portavoce di quella stessa alternativa spiritualistica impregnata di sensibilità cristiana di cui Pasternak è stato testimone coraggioso nella sua vita. Dietro alla sua creatività e all’esercizio del pensiero, Jurij nel romanzo scrive e pubblica poesie proprio come fa lo stesso Pasternak nella vita reale. E Jurij nel romanzo vive lo stesso dissidio del suo autore tra l’artista e la società, tra la poesia e la politica, tra l’arte e la storia, tra l’amore e il matrimonio. Le Poesie di Živago si segnalano per le atmosfere intime e personalissime, prive di qualsiasi accento declamatorio, con cui Pasternak tratta il tema della patria sofferente, e per lo “scintillante mosaico di immagini” attraverso cui parla d’amore, di illusioni e delusioni, di insoddisfazione personale, di ansia religiosa, di ricerca spirituale.
Mandel’štam ha scritto alcune delle poesie più dure nei confronti della “follia sovietica”, sino alla famosa invettiva contro Stalin, una sorta di autocondanna capitale che lo ha portato alla denuncia e all’arresto e a quel calvario di prigione, confino, lager, durato cinque anni fino alla morte, costretto a vivere degli aiuti degli amici insieme alla moglie Nadežda in mezzo ai lupi e al rumore del suo tempo. In tutta la sua produzione intensamente lirica, per Mandel’štam la parola della poesia doveva per forza avere una valenza integrale per l’istintivo rigetto del luogo comune, dell’immagine inerte, del tono ingessato, della frase fossilizzata. Decisiva era per Mandel’štam la musica della parola, ciò che rende impossibile fino in fondo una traduzione dei suoi versi, ma che stimola Paolo Ruffilli a confrontarsi con la sua poesia tentando comunque di renderne in un’altra lingua le profonde suggestioni.
Mandel’štam ha scritto alcune delle poesie più dure nei confronti della “follia sovietica”, sino alla famosa invettiva contro Stalin, una sorta di autocondanna capitale che lo ha portato alla denuncia e all’arresto e a quel calvario di prigione, confino, lager, durato cinque anni fino alla morte, costretto a vivere degli aiuti degli amici insieme alla moglie Nadežda in mezzo ai lupi e al rumore del suo tempo. In tutta la sua produzione intensamente lirica, per Mandel’štam la parola della poesia doveva per forza avere una valenza integrale per l’istintivo rigetto del luogo comune, dell’immagine inerte, del tono ingessato, della frase fossilizzata. Decisiva era per Mandel’štam la musica della parola, ciò che rende impossibile fino in fondo una traduzione dei suoi versi, ma che stimola Paolo Ruffilli a confrontarsi con la sua poesia tentando comunque di renderne in un’altra lingua le profonde suggestioni.
La Achmatova fu subito apprezzata poiché i suoi versi trattano dell’amore in un lungo e frammentario memoriale della passione, in cui la poesia è fedele alle glorie e alle debolezze della propria condizione di donna, alle luci e alle ombre della propria personalità accettata in tutto e per tutto. Ed è la ragione per cui le immagini di quell’amante libera e capricciosa che è Anna non sono mai folli o frenetiche, ma femminili e domestiche e la sua arte ignora il senso tragico e dionisiaco dell’amore. Perché, come ripete lei stessa, “l’amore è bello e terribile proprio perché è una cosa di tutti i giorni, la più dolce delle abitudini, un eterno presente” e appartiene non alla storia, ma alla cronaca della vita. Interprete non solo dell’amore, ma anche delle vicende tragiche delle guerre e delle sofferenze delle grandi purghe staliniane dopo la Rivoluzione, “Anna di tutte le Russie”, come la chiamava Marina Cvetaeva, è universalmente nota per essere diventata la “voce” stessa del popolo russo, testimone e custode del destino del suo paese.
La Achmatova fu subito apprezzata poiché i suoi versi trattano dell’amore in un lungo e frammentario memoriale della passione, in cui la poesia è fedele alle glorie e alle debolezze della propria condizione di donna, alle luci e alle ombre della propria personalità accettata in tutto e per tutto. Ed è la ragione per cui le immagini di quell’amante libera e capricciosa che è Anna non sono mai folli o frenetiche, ma femminili e domestiche e la sua arte ignora il senso tragico e dionisiaco dell’amore. Perché, come ripete lei stessa, “l’amore è bello e terribile proprio perché è una cosa di tutti i giorni, la più dolce delle abitudini, un eterno presente” e appartiene non alla storia, ma alla cronaca della vita. Interprete non solo dell’amore, ma anche delle vicende tragiche delle guerre e delle sofferenze delle grandi purghe staliniane dopo la Rivoluzione, “Anna di tutte le Russie”, come la chiamava Marina Cvetaeva, è universalmente nota per essere diventata la “voce” stessa del popolo russo, testimone e custode del destino del suo paese.
La proposta di queste pagine è una ricerca che invita, “nell’aria che, anche da lontano, già profuma,” a trovare la risposta alla grande domanda: Dunque, l’arte che vuole? Vittorio Cozzoli si pone la questione e propone la sua risposta per fede e convinzione intellettuale. L’Italia di oggi ha bisogno di poesia ‘nuova’: quella che spesso si legge è poca cosa perché sembra poca cosa quello in cui chi scrive crede, “ormai neppure più negativo o negatore, ma nella sua sostanza indifferente”. Anche dal punto di vista della lingua, fatta scendere spesso sotto il livello di guardia. Occorrono esempi alti, anche stilisticamente, perché lo stile è segno di qualità-non-retorica. Occorre resistere ad un minimalismo della quotidianità che non vede più in là del proprio naso e “avere coraggio profetico, ricordare che la poesia ha radici che la lingua stessa non può più a lungo emarginare o ignorare.
La proposta di queste pagine è una ricerca che invita, “nell’aria che, anche da lontano, già profuma,” a trovare la risposta alla grande domanda: Dunque, l’arte che vuole? Vittorio Cozzoli si pone la questione e propone la sua risposta per fede e convinzione intellettuale. L’Italia di oggi ha bisogno di poesia ‘nuova’: quella che spesso si legge è poca cosa perché sembra poca cosa quello in cui chi scrive crede, “ormai neppure più negativo o negatore, ma nella sua sostanza indifferente”. Anche dal punto di vista della lingua, fatta scendere spesso sotto il livello di guardia. Occorrono esempi alti, anche stilisticamente, perché lo stile è segno di qualità-non-retorica. Occorre resistere ad un minimalismo della quotidianità che non vede più in là del proprio naso e “avere coraggio profetico, ricordare che la poesia ha radici che la lingua stessa non può più a lungo emarginare o ignorare.
Costantino Kavafis si è ispirato al mondo ellenistico pagano che ad Alessandria, sua città natale e in quegli anni ombelico del mondo, celebrava gli ultimi fasti. Eccoli, i motivi ricorrenti: l’amore (vissuto tra sensualità violenta e accorata nostalgia), l’inafferrabilità della bellezza (specchio del desiderio che non si placa), la storia (vista come terreno di scontro tra l’uomo e la sorte).
Costantino Kavafis si è ispirato al mondo ellenistico pagano che ad Alessandria, sua città natale e in quegli anni ombelico del mondo, celebrava gli ultimi fasti. Eccoli, i motivi ricorrenti: l’amore (vissuto tra sensualità violenta e accorata nostalgia), l’inafferrabilità della bellezza (specchio del desiderio che non si placa), la storia (vista come terreno di scontro tra l’uomo e la sorte).
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.